Il racconto di Francesco per V.I.D.A.

Quattro anni fa, con un gruppo di amici, sono partito per l’India e in particolare per Calcutta, città, o meglio megalopoli, che conoscevo solo attraverso Madre Teresa e le sue opere di solidarietà per gli ultimi, per i dimenticati, per quelli che lei stessa definiva i più poveri tra i poveri.

Alla partenza ero pieno di entusiasmo e di voglia di fare, ma non senza paura, dettata dalla consapevolezza di entrare in contatto con una cultura nuova e di essere a migliaia di chilometri da casa, per giunta per la prima volta in vita mia.

Ma una volta giunto a Calcutta, sceso dall’aereo con il mio zaino, io e i miei compagni di viaggio non ci saremmo mai aspettati di vedere quello che stavamo vedendo. Come mutò il clima all’interno del gruppo. Calò un silenzio attento a tutto quello che ti si presentava davanti. Ancora oggi ricordo che la prima cosa che mi colpì fu il tanfo, quella puzza forte, sembrava di essere in una discarica. Subito dopo fu l’udito ad essere travolto, milioni di auto che suonavano, e infine anche la vista fu colpita da quella realtà.

Ricordo ancora oggi il tragitto verso il nostro albergo, non facevamo altro che guardarci attorno, ma senza nessuna voglia di fare foto o di commentare. Quello che vedevamo era davvero troppo forte e troppo lontano dai nostri schemi, da ciò che eravamo abituati a vedere e a vivere.

Un livello di povertà e di degrado che davvero mi è difficile descrivere con le parole. L’uomo non è più uomo: vive per strada, mangia per

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strada, dorme per strada. Vive sotto “case” fatte di buste di immondizia, quelle nere e grandi, usate come tetti, fissate a un muro e tenute ferme da pietre.

Rimani sconvolto, l’istinto ti spinge a voler riprendere l’aereo e ritornare nel tuo “mondo”, così adatto a te. Sembra troppo grande, troppo radicata la povertà. Eppure noi siamo rimasti. Meno male che siamo rimasti.

Abbiamo iniziato la nostra missione, la nostra piccolissima opera di solidarietà e sostegno, pur sapendo che sarebbe passata inosservata e che sarebbe servita a ben poco. Il nostro impegno era quello di supportate il personale locale dei centri di Madre Teresa. Centri che accolgono anziani, malati, moribondi, adulti e bambini affetti con disabilità fisiche e mentali. E lì scoprimmo l’eroicità di quelle donne e uomini che tutti i giorni dell’anno, per tutti gli anni della loro vita, sono lì e si donano completamente a quei dimenticati e abbandonati. Eroi di cui nessuno mai ne parla.

E lì scopri che il mondo, nonostante le sue brutture, le sue ingiustizie, può diventare un posto migliore, perché ci sono persone che nonostante questa “oscurità” continuano a combattere per quel qualcosa di buono che c’è.

Poi ci toccò prestare servizio presso un centro di accoglienza di bambini e bambine orfani e abbandonati dalle famiglie troppo povere per mantenerli. E mai dimenticherò i loro sorrisi, la loro ricerca delle tue attenzioni e la loro profonda serenità negli occhi. E in quel momento lo shock, che questa esperienza mi stava provocando, arrivò al culmine. E i miei schemi e le convinzioni di sempre iniziarono a cedere e la vita assunse una nuova prospettiva: eri convinto di essere andato là per donare e cambiare il mondo, scoprendo che alla fine ricevi più di quanto tu abbia in realtà donato.

Da quell’esperienza nacque V.I.D.A. Onlus. Non potevamo ritornare e continuare le nostre vite di sempre, come se quella fosse stata solo una bella parentesi. No, ormai, sentivamo il peso e il bisogno di dover comunicare a più persone possibili quello che avevamo visto e vissuto, e fare di tutto per migliorare le loro condizioni, e creare un circolo virtuoso di sostegno e di solidarietà. E ormai sono quattro anni che V.I.D.A. organizza missioni umanitarie a Calcutta, e inoltre ha esteso il suo impegno di solidarietà in altre zone dell’India, arrivando ad aiutare più di 5.000 persone e finanziando 19 progetti nel 2012. Il prossimo agosto ritorno per la quarta volta a Calcutta con lo stesso entusiasmo della prima volta, ma con una consapevolezza diversa e con un profondo senso di gratitudine verso quelle persone che ogni anno mi insegnano tanto e che mi ricordano che c’è speranza e che non bisogna mai stancarsi di lottare per un mondo migliore e più giusto.

Francesco Grauso (@FrancescoGrauso)

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