Avevamo appuntamento, è arrivata con qualche minuto di anticipo.

Sulla porta, mi appare il suo viso incorniciato da lunghi capelli neri.

“Come ti chiami?” “Mala” – risponde in un alito.

Era settembre 2021 ed era il nostro primo incontro. Dopo la presentazione con i genitori, quel giorno, iniziavamo insieme un percorso di affiancamento nello studio scolastico.

Mala è del Bangladesh, ha 11 anni, frequenta la prima media e quell’alito della sua risposta è il suo tratto distintivo.

Mentre lo scrivo, vedo gli altri ragazzi che frequentano il nostro centro: alito è il loro modo, un sussurro per parole che fanno fatica ad uscire. Sono insicuri dei loro pensieri e ancor più sembrano temerne il suono nella risonanza delle loro voci. Li vedi così, esitanti. Ma non negli occhi, negli occhi, io vedo sempre quel “qualcosa”. Inciampano nella grammatica, nelle equivalenze, nel vocabolario, non sono campioni della pagella, ma hanno sete, hanno desiderio di ascoltare, di scoprire, di fare domande. La leva di chi può imparare a trasformare la cultura in vita, in cambiamento, in umanità più ricca.

È passato qualche mese da quel primo incontro: Mala studia con me, con Beatrice, nume tutelare della grammatica e della lingua italiana, e con Dorotea, la regina della matematica, tre volte a settimana.

Non è stato facile, a dire il vero, forse non lo è mai, perché ci si accapiglia con l’analisi logica, con le operazioni matematiche ma, soprattutto, è difficile esporre ad alta voce, imparare a far di quello che si studia materia di un pensiero che non si fissi solo sulla lezione, ma sappia spaziare tra tutto quello che ha imparato.

Mala studia con impegno ma si ingarbuglia, spesso ride, rido anche io: qui la regola è che non esiste l’errore, ma solo la possibilità di imparare!

“Non ho capito”, dice, a volte, ma quando le spiego, ascolta e, piano piano, fa tutto suo.

Così, è entrata anche a far parte dell’Accademia, il nostro progetto per alimentare la passione per la cultura nei ragazzi con le menti più curiose e vivaci del nostro centro.

Oggi è il 10 aprile, sabato mattina.

Mala ed io siamo sedute, una accanto all’altra, ad un incontro di geopolitica che abbiamo organizzato proprio per l’Accademia.

Si parlerà di guerra, la cronaca quotidiana impone una riflessione anche e soprattutto con i più giovani. Ospiti di questo incontro sono Y. e N., lei ucraina, lui russo, marito e moglie, da qualche mese in Italia. Sono qui per raccontare la vicenda degli uomini vista con gli occhi degli uomini.

N. si alza, c’è un attimo di silenzio. Inizia con una citazione, inizia citando Gogol.

Gogol? Ma non si doveva parlare di guerra? La domanda attraversa silenziosa la platea, ma i ragazzi sono attenti, ascoltano. N. prosegue: il suo viaggio nelle parole dell’umanità ci porta a Goncharov, il grande scrittore russo di cui, proprio quest’anno in Accademia, abbiamo letto il romanzo “Oblomov”.

Cita Dante, il sommo poeta, da cui trae il nome e l’ispirazione la nostra associazione.

E ora, Harry Potter.

Mala non riesce a trattenersi: si volta verso di me, i nostri sguardi si toccano al di sopra delle mascherine che nascondono il sorriso complice. Avevamo parlato di Harry Potter proprio poche settimane prima, nell’incontro dell’Accademia in cui ci eravamo confrontati sugli oggetti magici nella letteratura e nella definizione del desiderio, tema portante di tutto il lavoro di quest’anno.

I ragazzi sono ormai totalmente calamitati dal racconto di N.

Si parla di guerra senza ricalcare la cronaca, senza cedere alla facile semplificazione di vittima e carnefice, andando a cercare, invece, le sfumature dell’animo umano, le paure, le ambizioni, le rinunce, la possibilità di grandezza.

Si parla di persone, di complessità, di fatica, di dolore, di scelta per agire in modo diverso, perché anche nella disperazione, è il pensiero che può guidarci oltre.

“Il male è dentro ogni uomo e cresce quando, sentendosi vicino alla sconfitta, cerca commiserazione e pietà, cerca di passare per misero e reietto. E così inganna gli animi.” – conclude Y.

È una mattinata bellissima, intensa.

I ragazzi fanno domande, anche Mala.

Sono davvero sorpresa. Per questi ragazzi, esprimersi è una conquista, una piccola coraggiosa vittoria.

Vivono in famiglie dove crescere nella cultura sembra un percorso di superamento ostacoli: difficoltà linguistiche, perché sono famiglie straniere qui da meno di una generazione e ancorate alla lingua madre; disagio economico, che impedisce alle famiglie di sostenere pienamente il desiderio di imparare dei figli; disparità formativa, che non consente ai genitori di accompagnare il percorso di crescita culturale dei figli. Nella Piccioletta Barca i ragazzi e le famiglie trovano un alleato per superare quelle difficoltà.

Sono fiera di Mala e di questi suoi slanci, non frequenti, non ancora, ma sempre più fiduciosi.

Ricordo il primo incontro con i suoi genitori, che cercavano chi potesse affiancare la figlia nella preparazione per la scuola. Parlavano un italiano confuso (e non è migliorato), ma si capiva che desideravano fare per la figlia il meglio possibile.

In questi mesi, si è creato con loro un rapporto di fiducia. Ci chiedono di accompagnarli negli incontri con gli insegnanti, per superare la barriera linguistica e migliorare il rapporto con la scuola. E la scuola è per noi sempre il primo riferimento. Siamo in contatto costante con gli insegnanti, che spesso ci chiedono un confronto per parlare del percorso di crescita dei ragazzi. E sono gli stessi insegnanti a segnalare il nostro centro agli studenti.

“Mi è piaciuta questa mattina” – mi dice Mala, sempre con la sua voce sottile – “ascoltando quei due ragazzi ho capito che nessuno potrà mai fermarmi dall’imparare”.

La guardo, le dico “è vero” e non posso non pensare che un ragazzo che studia è speranza di pace.

Scritto da Silvia, volontaria e socia della Piccioletta Barca

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