Ci siamo presentati in quella scuola superiore di Catania in un quartiere abbastanza difficile, senza renderci conto più di tanto di cosa avremmo trovato. Siamo andati a raccontare la campagna di promozione del sostegno a distanza ai ragazzi, come abbiamo fatto altre volte, senza preparare discorsi, quasi a braccio, ma ciò che è emerso da quell’incontro ci ha lasciato a bocca aperta.
Abbiamo iniziato dicendo che la solidarietà è un valore fondamentale e che si può praticare in moltissimi ambiti, fin da piccoli; noi lo facciamo per chi non ha la possibilità nemmeno di andare a scuola, bambini e ragazzi in ogni angolo del mondo che a stento riescono a mangiare. Le nostre associazioni si prendono cura di loro, li nutrono, li fanno studiare, cercano di gettare le basi per un futuro, per non farli salire su un barcone e venire a rischiare la vita nel Mediterraneo tra qualche giorno o tra qualche anno.
Un ragazzo si è fatto coraggio e ha detto con educazione “ma noi che c’entriamo? Noi queste cose le sappiamo già, voi siete come tutti quelli che vogliono vendere qualcosa, cosa avete di diverso dagli altri?”. Questa domanda ci ha spiazzato, così abbiamo approfondito meglio, abbiamo dato altri dettagli dei progetti di sostegno a distanza inclusi nella campagna, ma lo scetticismo non passava, nonostante la professoressa, presidente di un’associazione di volontariato per la raccolta del sangue, ci desse un’ottima sponda.
Poi è intervenuta una ragazza e dopo ciò che ha detto abbiamo capito il punto: i ragazzi non volevano sentirsi raccontare le solite cose, ogni angolo della città è tappezzato di cartelloni pubblicitari di organizzazioni che fanno raccolta fondi per i loro progetti, alla stazione magari ci sono i dialogatori, in internet è pieno di annunci…a loro interessano le storie, le persone, quello che c’è dietro il marchio dell’associazione, quello da cui loro possono trarre spunto per guardarsi dentro e capire se c’è un’attenzione ai bisogni dell’altro, come coltivarla, come canalizzare l’energia che hanno dentro, a volte anche la rabbia.
Non ci era mai capitato che ci venisse chiesto di parlare di noi, eppure ci mettiamo la faccia tutti i giorni! Quei ragazzi volevano andare alla sostanza, all’origine, al significato, a loro non interessava certo la brochure della campagna!
Da lì l’incontro ha preso un’altra piega, abbiamo raccontato le nostre storie personali, come ci siamo avvicinati al volontariato, come la nostra associazione sia nata dalla forza comune di più organizzazioni che lottavano per la stessa causa, il sostegno a distanza, e si sia trasformata in qualcosa di duraturo; come la referente di un’associazione di adozioni internazionali lì presente si sia avvicinata a quel tema a causa di un problema personale.
A quel punto sì, hanno ascoltato con interesse e partecipazione.

Siamo usciti da lì quasi storditi. Forse nessuno di loro sceglierà di sostenere a distanza, però probabilmente abbiamo dato ancora più credibilità a ciò che facciamo, forse abbiamo gettato un seme e da lì crescerà un volontario, che sia per il SaD o per mille altri progetti.
Di una cosa siamo sicuri: siamo stati soprattutto noi ad imparare qualcosa.

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