Non è semplice racchiudere in un testo la mia esperienza come volontaria in Servizio Civile. È una di quelle esperienze che ti cambiano dall’interno, a partire dalla prospettiva da cui osservi la vita. La mia storia è iniziata quasi per caso: ero all’ultimo anno della facoltà di Psicologia e alla ricerca di un esperienza che mi facesse mettere in discussione: sfogliando i bandi per il Servizio Civile ho trovato quello della Cooperativa E.T.I.C.A. dal titolo “Fare Comunità”. Decisi di mettermi in gioco sebbene non avessi nessuna esperienza di servizi residenziali. A dire il vero non sapevo neanche come fosse fatta una “comunità”: immaginavo corridoi immensi, con camerate asettiche ed una mensa. Potete intuire il mio stupore quando mi ritrovai in una casa calda ed accogliente, un ampio salone e camerette arredate come quelle di un adolescente, con foto e poster alle pareti. Il mio ruolo, citando il progetto, era principalmente quello di “Mediazione nelle relazioni con le figure adulte” con lo scopo di creare un rapporto di fiducia con le ragazze ospiti della comunità. Durante il periodo di formazione una delle domande che ponevo più spesso era: “Ma come posso fare a mediare questo rapporto?” e alla risposta “Lo capirai con l’esperienza e durante la giornata” seguiva la domanda (a cui non so ancora dare risposta) : “Quale è una giornata tipo?”. Mi sembravano quesiti molto sensati, ma solo alla fine del mio percorso comprendo quanto fosse difficile dare una risposta esaustiva. Il primo pomeriggio in comunità fu scoraggiante: era chiaro che le ragazze non ci volevano. Per farvi capire il loro punto di vista: immaginate di starvene a casa vostra, nervosi per qualche motivo…e si presenta una persona estranea che cerca di comunicare con voi. E’ stato difficile farsi accettare, creare uno spiraglio nella corazza meticolosamente creata per proteggersi dal mondo esterno: i primi turni sono stati molto duri, cercavo di trovare punti di contatto con le ragazze e intrattenevamo piccole conversazioni, ma non volevano il mio aiuto. Tornare a casa era altrettanto difficile poiché mi tormentavo cercando di trovare un modo per farmi accettare ed i miei sogni erano occupati solo da loro. Questa situazione, però, è durata molto poco, grazie anche al supporto degli educatori e al bellissimorapporto creatosi con gli altri volontari. Poco alla volta, senza neanche saper spiegare come, si è instaurato un rapporto molto speciale, e difficile da definire, con le ragazze. Il periodo di Natale mi ha permesso di rafforzare il nostro legame, portandomi dalla semplice condivisione di interessi ed attività ad una condivisione più profonda. In quel periodo ho creato con ognuna di loro un rapporto di fiducia e di apertura, molto diverso da quello di amicizia, ma più intimo. Ho passato tutta la giornata della Vigilia di Natale con loro, preparando il Cenone, e resterà per sempre uno dei ricordi più belli della mia vita. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, abbiamo condiviso sempre più momenti, belli o brutti che siano. Hovisto arrivare nuove ragazze, spesso in lacrime, ma ho visto le stesse lacrime quando era il momento di andare via. Porto ognuna di loro in un cassettino speciale del mio cuore, consapevole di aver donato tutta me stessa e allo stesso tempo di aver ricevuto da loro molto di più di qualsiasi cosa materiale si possa ricevere. C’è una frase, presa da una lettera che le ragazze “Farai tante altre esperienze con delle ragazze come noi, ma tu non dimenticarti mai di noi ed ogni volta che penserai a qualcosa di felice, raccontagli di cosa abbiamo fatto insieme e anche se non sarà chissà cosa, tu ricordati lo stesso e portali nei tuoi attimi di felicità, che noi ne saremo contente”. Sono sicura che non avrò problemi a mantenere questa promessa.

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