Paola Riccardi responsabile cooperazione e sviluppo N.A.A.A. onlus

Sono arrivata in Cambogia domenica 23 aprile da Hanoi per una missione di monitoraggio di alcuni progetti. In Cambogia faceva ancora più caldo che in Vietnam, caldo umido, che non ti fa respirare e ti incolla i vestiti al corpo.
Il lunedì ho preso un autobus di linea, insieme a Martina e Kieng, collaboratrici del N.A.A.A. in Cambogia, e in sei ore siamo arrivate a Siem Reap, a nord-ovest, poco a nord del lago Tonle Sap.
Il viaggio si è snodato tra villaggi piccolissimi, foreste e campi completamente bruciati dal sole. Eravamo alla fine della stagione arida e i campi erano color sabbia.
Riesco a prendermi due ore di libertà, noleggio un tuk tuk e inizio il mio tour turistico per visitare i Templi Khmer. Viaggiare in tuk tuk è un’esperienza piacevolissima, una volta usciti dal terrificante traffico cambogiano. Mentre l’autista si infila in improbabili e momentanei pertugi dove sono certa di non passare, giuro a me stessa di non parlare mai più male del traffico di Milano. Per fortuna Siem Reap è un paese piccolo e presto ci troviamo nella foresta e in poco tempo mi trovo in questo luogo meraviglioso. La zona archeologica copre un territorio di 400 Km quadrati e ci sono circa 100 templi, alcuni in rovina, altri ben conservati. Ne ho visitati 3 e ancora non sono riuscita a decidere quale fosse il più bello. I bellissimi bassorilievi di Angkor Vat o i grandi visi del Buddha di Angkor Thom. Forse quello che ho preferito è l’atmosfera magica di un piccolo tempio, che è stato quasi interamente ricoperto dagli alberi e che ormai vive in perfetta simbiosi con la natura.
Purtroppo mi rendo conto che, oltre al caldo soffocante, mi devo proteggere da un sole a picco e che mi sono dimenticata di mettere la crema solare. Verso le 14, la mia pelle ha riflessi rosso corallo e verso sera prenderà un bel colorito rosso porpora che farà sorridere tutte le donne cambogiane che mi indicano e, a cenni, mi spiegano che il sole scotta e che dovevo proteggere la mia pelle bianca.
Abbiamo incontrato molti bambini inseriti nel nostro programma di sostegno a distanza. Uno di questi bambini, Khun Los, mi ha particolarmente colpito. Visitiamo la sua casa, una classica casa cambogiana, un’alta palafitta dove, durante la stagione secca, si vive sotto, all’ombra. Intorno all’edificio principale ci sono altre costruzioni minori, la cucina e la pompa dell’acqua: ci sarebbe lo spazio per un orto, per coltivare qualche verdura ma la terra a disposizione rimane incolta.
Khun Los vive insieme alla nonna e 5 cugini, tutti minori di 12 anni. La nonna vive sola, senza il marito, senza i figli che sono sparsi per la Cambogia lasciando i bambini alla sua custodia. Sola, lavorando a giornata nei campi di riso o intrecciando cesti di vimini, per poter sfamare i nipoti. Una donna dal viso segnato dalla vita, con uno sguardo fiero, che riesce comunque a trovare un sorriso.
Questi bimbi vivono scalzi, senza nulla, nella più completa povertà. Bambini che non vanno a scuola e che non solo non hanno il superfluo, ma spesso nemmeno il necessario.
È da quella visita, dalla storia di Khun Los che è nata l’idea di creare degli orti domestici che permettano alle donne di aiutare la famiglia ad avere una vita migliore

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