Nadia Levato, project manager di Salute e Sviluppo Onlus si racconta…
Posted at 15:44h in Storie 0 CommentiQuando sono arrivata a Salute e Sviluppo (SeS) pensavo che la mia sarebbe stata una semplice esperienza di volontariato, qualche mese passato al servizio della cooperazione mettendo a disposizione di questo ente le mie competenze e parte del mio tempo. Mi occupavo, per lavoro, di progettazione sociale e pensavo che i progetti a cui mi sarei dedicata a SeS non si sarebbero discostati poi così tanto da quelli ai quali normalmente collaboravo. Mi sbagliavo. E lo avrei scoperto ben presto. Ricordo ancora il primo giorno passato negli uffici della sede romana. L’odore di carta stampata e i bambini sorridenti nei poster sulle pareti. Sulla scrivania un segnalibro africano e negli scaffali tantissimi faldoni colorati a racchiudere tutte le iniziative realizzate nei paesi del Sud del mondo. E mentre i giorni erano trascorsi velocemente e con loro le settimane e poi i mesi, era cresciuta dentro di me l’urgenza di dedicare più tempo ad una missione che mi aveva agganciata per sempre, perché in essa si condensavano tutti i miei valori. I miei ideali. Giustizia, equità, lotte per il bene comune, tolleranza, rispetto, pace e la sensazione forte e viva di essere parte attiva nella costruzione di un mondo diverso. Migliore.
I progetti che prendevano forma tra le nostre mani erano un pugno incessante tra stomaco e cuore. Bisognava portare acqua, salute, cibo, istruzione tra le aree più desolate del pianeta. Bisognava tutti i giorni combattere con la sensazione di sgomento e rabbia nel leggere le statistiche che ci giungevano da lontano. Aspettative di vita al limite, tassi di povertà e mortalità infantile che ci obbligavano a guardarci dentro e a rivedere le nostre esistenze. Spostare i parametri. Annullare i confini. Scoprirsi empatici. Prendere coscienza di tutta l’iniquità umana. Trovarsi a ripensare se stessi. Le proprie mete. Le proprie ambizioni.
Le linee telefoniche si intasavano di richieste e la posta elettronica era un pullulare di notizie e preghiere di aiuto. E nel fluire del nostro lavoro, tra uno squillo di telefono e una riunione per parlare dei risultati raggiunti e pianificare strategie future, un bambino veniva curato, grazie a noi, dalla malnutrizione ed una mamma riceveva una zanzariera per proteggere la sua famiglia dalla malaria. Piano piano le ore passate a Salute e Sviluppo si trasformavano in interminabili giornate di cui, però, non sentivo la fatica tant’era intenso e bello quel tempo speso così. Nell’arco di pochi mesi da volontaria divenni una collaboratrice a tempo pieno e quando partii per la prima volta per l’Africa il mio legame con la cooperazione e con SeS divenne indissolubile e irrinunciabile perché è qui che ho potuto toccare l’umanità con le mie mani e pensare al futuro come una sfida di possibilità. Per tutti.
Nadia Levato
Project Manager
Salute e Sviluppo
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