Quando un po’ di anni fa andai a trovare degli amici missionari nel Centro Africa, percorrendo in auto una via asfaltata e di importante collegamento, fui sorpreso nel vedere un numero esagerato di bambini sbucare all’improvviso dalla boscaglia che costeggiava la strada. Era semplicemente il momento in cui almeno 200 bambini uscivano da scuola a metà pomeriggio. Tutti belli e sorridenti, non vestiti del tutto bene, scalzi, ma dai loro occhi sprizzava tanta gioia e felicità. Era la scuola di un piccolo villaggio: pochi adulti ma tanti bambini.

Sono i bimbi dell’Africa, che tutti vediamo nelle pubblicità alla tv, scuri di carnagione, a volte mal nutriti, che mettono in crisi il nostro modus vivendi e che per i quali sei ben disposto ad aprire il portafogli per lasciare quelle briciole che in tasca disturbano ma che mettono apposta l’anima.

Quando questi bimbi che tanto hanno intenerito i nostri cuori, cominciano ad avere 17, 18 anni, belli, snelli, aitanti, non impietosiscono più e per questi facciamo fatica a tirare fuori 1 solo euro.

Fu una esperienza toccante quando, durante una festa di giovani, mi trovai sul fuoristrada attorniato da una marea di ragazzi incuriositi nel vedere un gruppo di “bianchi”. Uno di loro insistentemente mi continuare a spiaccicare una parola che per me risultava incomprensibile. Non capivo se fosse in lingua inglese, francese, suaili, kirundi: questa parola mi suonava così: “Bik”. Ma cosa vorrai mai dirmi? Un amico di viaggio mi suggerì che forse poteva alludere ad una penna biro. Così estrai dalla mia borsa una penna e gliela porsi. Questo bel giovane, prese la penna e scappò a gambe levate, pieno di gioia, come se gli avessi regalato un lingotto d’oro. Rimasi sbigottito: non mi chiese la maglietta del calciatore famoso, non mi chiese un pallone per giocare a calcio, ma mi chiese solamente una stupida penna!!

Il pensiero mi è andato nel considerare che questi giovani “neri”non hanno nulla di diverso dai nostri giovani “bianchi”: entrambi questi colori rappresentano il futuro del mondo per il quale tutti vorremmo fare qualcosa x migliorarlo.

Compresi ancora più visibilmente che la felicità non sta nei soldi ma nel saper gioire di quello che si hai, poco o tanto che sia.

Così ragionando con altri amici, ci siamo chiesti se non potevamo fare qualcosa per aiutare questi giovani, siano essi di colore “bianco” o “nero”.
Abbiamo così dato vita ad una onlus con lo scopo di aiutare questi ad inserirsi nel mondo del lavoro o per proseguire negli studi universitari.

Avevamo ben capito che non potevamo aiutare tutto il mondo, ma la nostra intenzione fu quella di seminare la speranza laddove avevamo delle conoscenze. Così in Burundi, in Togo, in Bolivia, in Israele abbiamo sostenuto i giovani meno abbienti a frequentare l’università o ad avviare delle cooperative di lavoro.

Grazie all’aiuto di molti amici, ha preso avvio questa meravigliosa avventura che oggi continua anche nel seguire i giovani rinchiusi in carcere.

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