Avevo 18 anni quando girovagavo per le strade di un piccolo paese della bassa padana. Ero un’adolescente e come tale passavo il mio tempo tra la totale apatia e la ricerca di qualcosa di unico che mi rendesse speciale. La costruzione della propria identità è un percorso articolato e assai complesso: uno non sa mai cosa fare e quando fa qualcosa, non sa se sarà la cosa giusta. Non frequentavo oratori e chiese, ma, annoiata dalla piazza e dai pettegolezzi paesani, per una serie di coincidenze, decisi di rivolgermi ad un prete, un po’ strano si diceva, poco propenso alle tradizioni, ma rivoluzionario nelle azioni. Di questo avevo bisogno, di uscire dalle chiacchiere ridondanti ed inutili e di sperimentarmi nella pratica. Dovevo essere qualcuno, ma quell’essere doveva prendere la sua dimensione anche attraverso il fare. Fui travolta da Padre Vitali, una persona certamente non docile e accogliente, il quale, senza che me ne rendessi conto, mi catapultò con una ventina di marmocchi undicenni tutti in preda ad una vera crisi preadolescenziale con il ruolo di educatrice. Ma non solo: nelle pause o tempi morti, Maria mi invitava negli uffici dell’istituto a scrivere lettere o far fotocopie per raccogliere fondi da inviare in Eritrea. In men che non si dica il tempo di pensare a chi ero e dove volevo andare venne meno ed iniziai a scrivere lettere, rapporti, articoli, a partecipare a convegni, corsi, riunioni. Lentamente mi sembrava di capire che cos’era la povertà e ogni volta che raggiungevo una certezza, qualcosa riusciva a metterla in discussione. Giunse il tempo del primo viaggio in Eritrea, gli incontri importanti, l’incertezza ancora maggiore e la messa in discussione di categorie interpretative fino a quel momento ritenute uniche ed assolute. A seguire l’Etiopia, la necessità di rivedere progettualità che davano sicurezze più a noi che a loro; ma la forza e la voglia di esserci in modo autentico ha sempre portato GMA ad accogliere e proporre cambiamento. Come un bimbo che cresce, come la storia che cambia, come il mondo che muta.
In 40 anni GMA è stato ricerca, confronto, crescita non solo degli africani, ma prioritariamente personale, di chi il GMA lo vive.
Tre domande hanno accompagnato il percorso: Che cosa possiamo fare? Che senso ha per noi ciò che facciamo? Che senso ha per gli Africani? Per capire forse oggi che un “noi ed un loro” non esiste, bensì esiste una realtà complessa dove le dipendenze e le relazioni sono un obbligo e non una scelta.
Partiti negli anni settanta con interventi di emergenza a causa della guerra tra Eritrea ed Etiopia, si sono via via cercati percorsi di cooperazione alternativi, in grado di incidere in modo permanente sul futuro delle persone, noi compresi. Vi è stato un momento importante in cui l’Organizzazione si è messa in una posizione di ascolto e di confronto con persone autoctone ed altri organismi nazionali ed internazionali, al fine di capire meglio da che parte andare, per tentare di non essere solo una sporadica apparizione, ma uno strumento in grado di poter attivare forze umane e finanziarie a garanzia della tutela dei diritti umani.
Perché l’Africa? Perché i bambini? Per una combinazione di alchimie particolari, quasi reazioni chimiche tra bisogni individuali, scelte professionali, interessi, incontri ed esperienze che hanno fatto confluire sullo stesso sentiero la storia di molti uomini e donne, bambini e bambine. Condividere un bisogno, volontà di fare per sé e per gli altri, saper cogliere opportunità e voglia di mettersi in gioco hanno permesso di intraprendere un percorso imprevedibile nei suoi aspetti umani e progettuali.

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