Il Tevere scorreva lento, il cielo era illuminato da fioche luci lontane e una brezza serale cercava di afferrare le mie paure e portarle lontano.
Non mi sentivo ancora pronta a farti nascere, non perché non avessi voglia di conoscerti ma perché, dopo tanti consulti specialistici, ho vissuto col terrore che il tuo linfangioma, mostro subdolo e minaccioso, potesse ostruire le tue vie aeree. Nell’affacciarti al mondo sentii invece un pianto prorompente e mi pervase la meravigliosa consapevolezza che tu respiravi.
Nei mesi successivi trascorremmo momenti difficili, in cui fu netta la sensazione di stare toccando il fondo: già dal primo trattamento di scleroterapia (terapia per te totalmente inefficace) ebbi il timore tangibile e reale di stare per perderti per sempre. “Torni in ospedale, la situazione si sta facendo difficile”, così risuonò una voce al telefono e di colpo tutto intorno a me scomparve, risucchiato in un vortice, le mie gambe cedettero al mio stesso peso, le lacrime divennero l’unica manifestazione vitale del mio corpo e nelle orecchie restava solo il grido accorato delle mie preghiere.
Quella notte passò lenta, in un mesto silenzio, i miei occhi fissi sulla porta che mi separava da te, dal tuo corpicino martoriato, attaccato a macchinari che ti facevano respirare, drenaggi toracici e accessi venosi utili a sostenerti e tu, con caparbietà, lottavi per restare aggrappata alla vita.
Fu necessaria una tracheostomia per scongiurare altri possibili problemi respiratori: fu straziante vederti curarizzata, immobile mentre io tenevo stretta la tua mano inerme: un intimo tocco sulla tua pelle che tracciava sul mio cuore il segno indelebile di un amore infinito.
Usciti dalla terapia intensiva cercai di farti abituare alla suzione, azione complicata dalla presenza del linfangioma alla lingua che t’impediva di muoverla nel modo corretto costringendoti, per un anno, ad utilizzare un sondino per alimentarti.
Una volta a casa fu ancora più difficile trovare dei professionisti che mi supportassero nelle varie azioni giornaliere, ma noi non ci siamo mai scoraggiate: facevamo esercizi logopedici, ti leggevo tantissimi libri per associare sillabe e parole alle figure, ti facevo assaggiare tutto ciò che di commestibile potessi mangiare e tu non ti sei mai persa d’animo e addentavi, masticavi e deglutivi anche i cibi più complessi. Non finivi mai di stupirmi, come quel giorno in cui con l’aiuto di una valvola fonica, ho sentito un dolce suono e dalla tua bocca proferire “mamma”!
Sin da piccola ti ho insegnato a convivere con la sua malattia, a guardarti allo specchio e non vedere il tuo viso asimmetrico, ma soffermarti sulla persona che riflette, ricordandoti di essere una ragazzina forte e coraggiosa, capace di superare gli ostacoli con determinazione, di non sentirti “un mostro” ma mostruosamente intraprendente in tutto ciò che fai. Non avere paura della vita, ma affrontala un passo alla volta. Questo faccio io, ti cammino avanti per proteggerti e mi siedo ad aspettare che tu mi raggiunga con la tua grinta!
Sono passati 14 anni: un altalenarsi di emozioni capaci di toglierci il respiro per poi, subito dopo, farci tirare un sospiro di sollievo e tu, ormai adolescente, sei cresciuta determinata nelle tue scelte, con un bagaglio linguistico stupefacente per chi credeva tu non potessi mai parlare, capace di interagire con un mondo sempre più esteta, dove qualsiasi difetto estetico ti emargina e delle limitazioni funzionali ti avrebbero potuto togliere la libertà di vivere in mezzo agli altri. Ma tu, a testa alta, affronti le difficoltà, ami le sfide e persegui la vittoria in ogni battaglia che conduci.
Anche adesso, sei parte integrante e, nel tuo piccolo, membro attivo dell’Associazione Malformazioni Linfatiche ODV, nata da quando un giorno la mamma di un bambino speciale come te mi ha detto: “Proviamo a cambiare il futuro dei nostri figli?”, un’associazione che vuole confidare nella ricerca, auspicando una cura definitiva, l’aiuto ancora sconosciuto che possa far sperare in un futuro migliore.
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