In Amazzonia per aiutare i nativi della foresta
Posted at 17:05h in Storie 0 CommentiIn Amazzonia per aiutare i nativi della foresta
Domani prestissimo sarò in aereo da Milano verso la città di Manaus, in Brasile, dove mi imbarcherò sul battello che mi porterà fino al villaggio indigeno Xixuaú, nel cuore della foresta amazzonica.
Due giorni di navigazione e arriverò in un posto che immagino sarà molto diverso da tutto ciò che ho visto fino ad oggi.
Ci vado come volontaria per Amazonia Onlus, un’associazione che ho conosciuto a Milano e che da oltre 10 anni aiuta i nativi dell’Amazzonia con progetti di salute, educazione e sviluppo sostenibile.
Non so bene cosa mi aspetta ma sono molto curiosa e non vedo l’ora di poter contribuire a questo meraviglioso progetto.
A Manaus il caldo è indescrivibile. Durante il viaggio in battello il paesaggio è fatto di alberi e acqua, ogni tanto uccelli, tucani, ara e delfini rosa. Cieli e tramonti incredibili. A volte si naviga in mezzo al fiume, a volte sfiorando la riva, seguendo la corrente. L’acqua è color coca cola.
Imparo un sacco di cose dalle coordinatrici del progetto che ci hanno accolto a Manaus e ci accompagnano verso lo Xixuau. Con me ci sono anche altri visitatori, tutti attratti dalla foresta e dalla voglia di aiutare le popolazioni indigene.
Al nostro arrivo al villaggio Xixuau centinaia di farfalle gialle girano dappertutto. Noi visitatori siamo alloggiati in una capanna circolare, ogni stanza è uno spicchio del cerchio. La mia stanza, tutta per me, è enorme.
La mattina seguente incontriamo i responsabili della cooperativa locale CoopXixuau, che gestisce il progetto insieme ad Amazonia Onlus.
Ci spiegano minuziosamente quali saranno i nostri compiti al villaggio. Data la mia esperienza nell’insegnamento, mi viene affidato il compito di insegnare ai nativi l’inglese, in modo da aiutarli a creare nuove campagne di sensibilizzazione in tutto il mondo. Altri due ospiti, entrambi medici, vengono assegnati all’ambulatorio del villaggio, per aiutare l’infermiera nativa. Nella comunità ci sono circa 100 adulti e 40 bambini, alcuni dei quali necessitano di visite mediche e farmaci. L’ambulatorio dello Xixuau è punto nevralgico di assistenza sanitaria anche per gli altri dieci villaggi della regione.
Altri tre visitatori stranieri vengono “arruolati” per dare una mano nella ristrutturazione di alcune casette in legno, dove i nativi ospitano gli ecoturisti.
Prima di iniziare le mie lezioni di inglese, facciamo una passeggiata in canoa nell’igapó, la foresta allagata. Non so come descrivere le sensazioni e le emozioni di questa esperienza. I giochi di luce del sole creano opere d’arte con i colori della foresta, gli specchi d’acqua creano sculture che si muovono leggermente mentre la canoa scivola sul fiume. Il silenzio all’interno dell’igapó è interrotto solo dal delicato fruscio della canoa contro il fogliame.
Guri, la nostra guida, ci indica in silenzio animali che non saremmo mai in grado di vedere senza il suo aiuto. Riconosce dal verso se un pappagallo è rosso o giallo. Riusciamo a vedere da vicino anche una famigliola di tre lontre giganti, agili in acqua ma imbranate sulla riva.
A una settimana dal mio arrivo allo Xixuau si è creata una certa routine.
Mi alzo alle 6,30 senza troppe difficoltà e la mattina se ne va aiutando Laura, infermiera volontaria, oppure in ufficio, dando una mano alla segretaria della cooperativa, che è molto brava. Dopo pranzo iniziano le mie lezioni e si va avanti a lavorare fino all’ora di cena. Durante e dopo cena si chiacchiera con i turisti e con la gente del villaggio. Il tempo qui è piuttosto variabile, piove forte quasi tutti i giorni ma per poco tempo.
Mi diverto molto ad insegnare l’inglese a un piccolo gruppo di nativi, sono 8 allievi, la più giovane ha 13 anni.
Io spiego la grammatica inglese e loro mi insegnano i nomi degli animali della foresta, ma soprattutto i canti degli uccelli!
Canta il melodioso sabiá che c’è dappertutto in Brasile. Canta la Madre della Luna nelle meravigliose notti di luna piena, canta il nambu le sue tre note tristi, cantano il buffo japim e le are chiassose, fischiano i tucani.
I bambini mi stanno sempre intorno, divertiti e incuriositi mi chiamano: “Regina, ascolta bene, sai che uccellino è questo?” Non ci azzecco mai. “Regina, vieni a vedere il picchio!” Ed eccolo, con il suo pennacchio rosso sull’alto albero di castagne.
Nel percorso di 200 metri tra il mio alloggio e l’ufficio c’è sempre un bimbo che mi prende per mano e mi accompagna. Ho insegnato loro un sacco di giochi e canzoncine della mia infanzia, sono bravissimi a impararle.
Quasi non me ne sono accorta, ma un mese è passato.
Quando la guida mi viene a chiamare perché la barca è pronta a salpare, penso che ci deve essere un errore, sta cercando qualcun altro, non sono io quella in partenza. Invece purtroppo è ora di andare via.
Preparo le ultime cose con la segretaria della cooperativa, chiacchiero con tutti, ho fatto amicizia con le donne, scherziamo tanto.
Provo già nostalgia per questa gente e per questo posto, che un po’ porterò con me e che con l’affetto non lascerò mai.
Regina Nadaes Marques
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