Eu-Brain, il tesoro della prematurità neonatale
Posted at 12:35h in Storie 0 CommentiL’associazione è stata voluta da Ingrid Gallo, dopo la nascita prematura della figlia Beatrice, e dal professore Luca Antonio Ramenghi, da sempre innamorato del cervello dei neonati.
Si prefigge l’obiettivo di divulgare e ricercare le cause delle patologie che colpiscono il feto e il neonatopretermine, un ambito di ricerca ancora pieno di misteri da scoprire.
Spesso pensiamo che il parto debba essere qualcosa per cui “tutto deve andare liscio”. Talvolta, però, il primo capitolo della nostra esistenza cela molte insidie, talune di esse invisibili e subdole, che possono compromettere la salute del neonato in ogni fase della gravidanza.
- Come, perciò, fare informazione senza incutere terrore?
- Come diffondere una “cultura della nascita” spassionata e argomentata che, oltre alla gioia di una nuova vita che viene al mondo, trasmetta l’importanza che rivestono i primi mille giorni di vita sullo stato di salute anche in età adulta?
Eu-Brain cerca di rispondere a tutti questi interrogativi, focalizzandosi sulle nascite premature.
Ce ne parla Ingrid Gallo, co-fondatrice dell’associazione.
- Perché è nata Eu-Brain?
“Nasce nel maggio 2015 dall’incontro tra me e il professor Ramenghi, direttore del Dipartimento Materno Neonataleall’Istituto Gaslini di Genova per investigare sulle patologie del neonato prematuro.
Uscivo da una gravidanza molto complicata, una gravidanza gemellare monocoriale: le bimbe avevano contratto una sindrome piuttosto rara (la trasfusione feto-fetale) per cui i circoli sanguigni erano confusi e uno dei due feti non aveva più liquido e non urinava più. Era in grande sofferenza.
I centri che curano questa sindrome sono pochi in Italia: le bimbe sono state operate in utero al Gaslini alla ventiquattresima settimana di gestazione dal Prof. Paladini.
Essendo complessa, quest’operazione ha modo di salvare tutti e due feti, uno solo o nessuno, indipendentemente del buon esito dell’operazione e l’abilità del chirurgo. Nel mio caso, la scelta era obbligata, perché, se non fossero state operate, le bambine sarebbero mancate nell’arco di una settimana. L’unica che riuscì a sopravvivere fu Beatrice, nata con cesareo d’urgenza. Anna è venuta a mancare per uno scompenso cardiaco. Al terzo giorno di vita, Beatrice, in terapia intensiva, ha un’emorragia cerebrale di secondo grado di cui mi vengono illustrate le eventuali degenerazioni (idrocefalo, emorragia celebrale di terzo grado).”
- Quando fondai l’associazione, anche per elaborare il lutto di Anna, Beatrice aveva sei mesi.
“Ho pianto quando ho visto Beatrice gattonare, il primo passo verso una vita normale.
Non posso perciò che essere grata a tutti coloro che ci hanno assistite in questo tortuoso cammino: spesso non si riescono a prevedere le evoluzioni future delle problematiche connesse alla neonatologia prenatale, perché c’è poca ricerca in quest’ambito. Ogni conquista, quindi, vale molto.”
- Come si è evoluta nel tempo la vostra associazione?
“Con sette anni di vita, l’associazione porta avanti diversi progetti di ricerca con il sostegno di ricercatori esperti, ma anche di divulgazione scientifica nell’ambito della neonatologia perinatale e prenatale. Viene offerta consulenza alle famiglie che si rivolgono ad Eu-Brain con storie difficilissime e, ciononostante, sono stati raggiunti grandi successi, come la storia di Alberto, di Gabriele, di Anna. Molte altre sono le testimonianze riportate nel nostro sito eubrain.org.”
- Progetti per il futuro?
“Stiamo lavorando al progetto RIPENSA, che sta per Registro Italiano Perinatale per l’ENcefalopatia post-aSfitticA. Il nostro obiettivo è riuscire a identificare con precisione le cause e le modalità con cui si manifesta l’evento asfittico, studiandone la diffusione e la distribuzione in Italia.
Combinando il sapere di alcune discipline scientifiche (genetica e scienze omiche) con l’utilizzo di strumenti d’analisi e di prevenzione all’avanguardia (come la Risonanza Magnetica Cerebrale), si potrebbe confermare o escludere una predisposizione genetica a questa patologia. Con questa base di conoscenze, potremmo riuscire a intervenire sulle gravidanze più rischiose e intraprendere un vero e proprio percorso di assistenza e monitoraggio.
Ho conosciuto casi di bimbi sopravvissuti all’asfissia. Ricordo il piccolo F. che è stato ricoverato al Gaslini dalla Sicilia: la sua storia mi ha colpito sin da subito e mi ha fatto pensare “Se solo potessi evitare parte di questa sofferenza a una sola mamma!”
Stiamo elaborando, con i nostri sforzi e le nostre capacità, le risposte a questo problema per trasformarlo in un’opportunità di crescita, nella quale sono la vita e la speranza a prevalere sul dolore e sulla morte.”
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