“We must be the change we wish to see in the world”
Posted at 17:47h in Storie 0 Commenti1986-2017 più di trent’anni. Una vita, un cambiamento radicale.
1986, anni iniziali, quando i malati terminali venivano dimessi dagli ospedali con l’angoscia di essere lasciati soli a se stessi e alle loro famiglie, nelle loro case senza nessun tipo di diritti né reti di protezione, in attesa di morire, in tanti casi male e con dolore. Un medico anestesista che, a titolo completamente volontaristico e con una visione pionieristica (aveva ben chiaro che era inutile rianimare persone alle quali rimanevano pochi giorni di vita; era molto più importante star loro vicini), si recava a domicilio per cercare di aiutare i malati utilizzando i medicinali antidolorifici disponibili all’epoca. Tre imprenditori che vengono coinvolti per mettere a disposizione impegno personale e capitali per costituire un’associazione che, con propri medici, psicologi e infermieri, possa assistere gratuitamente questi malati (il costo dei medicinali antidolorifici, non essendo considerati salvavita, era allora a carico dei pazienti), battendosi nel contempo per ottenere dalle istituzioni pubbliche il diritto ad una assistenza gratuita per una fine il più possibile dignitosa. Così è nata Una Mano alla Vita, con l’impegno di qualche volontario che potesse stare vicino alle famiglie aiutandole ad affrontare un periodo molto difficile.
Quante persone di ogni età ho “accompagnato” come volontario non sanitario, assistendole con partecipazione umana ma anche con un senso di impotenza, di rabbia, per non riuscire a dare di più. Come non ricordare Giuseppe che, costretto a letto da un tumore ai polmoni con metastasi ossee tanto dolorose da impedirgli di sopportare il peso delle lenzuola, mi chiedeva di prendere il gatto Arturo (semiparalizzato e dolorante anche lui per una brutta caduta dal balcone) e di metterlo al suo fianco, per poterne sentire le fusa e così trovare un attimo di serenità. Come non ricordare Antonio, giovane non ancora trentenne con un tumore al cervello che, ormai in un mondo tutto suo, mi aveva identificato come il suo migliore amico d’infanzia e assieme partecipavamo a fantastiche gare di corsa in bicicletta che lo rendevano felice.
Con tenacia, nel tempo, abbiamo raggiunto traguardi importanti, considerati trent’anni prima un’utopia: attraverso una pressione a livello nazionale il Servizio Sanitario è stato indotto ad effettuare forti investimenti in uomini e mezzi. Ora, quando la medicina non ha più nulla da offrire al paziente, le cure palliative sono riconosciute come elemento di punta perché i malati inguaribili vengano assistiti, a titolo completamente gratuito, con professionalità, umanità e rispetto.
La nostra attività prosegue senza tregua; gli anni passati ci hanno dato sicurezza, ma non abbiamo rinunciato a quel certo pizzico di “visionarietà” che ci ha fatto scegliere a suo tempo obiettivi difficili da raggiungere. Abbiamo ancora medici, psicologi, infermieri che, da noi retribuiti che vengono inseriti nelle Unità di Cure palliative e terapia del dolore degli Enti Pubblici, sempre costretti a tagliare i costi. Abbiamo contribuito ad assistere migliaia di pazienti e da anni stiamo intercettando nuovi bisogni: crediamo che la vita debba essere vissuta fino in fondo e per questo finanziamo anche quello che oggi viene definito “medicina complementare”, tra cui la pet therapy, l’arteterapia e la musicoterapia che hanno letteralmente cambiato in meglio l’ultimo periodo di vita di tanti malati.
Spesso mi trovo a ripensare a Luisa, giovane madre single che ha passato in Hospice gli ultimi due mesi della sua esistenza con il suo bambino di otto anni che dopo la scuola si fermava in camera per fare i compiti, “assistito” dalla psicologa e dal nostro cane Ciko, che abbracciava teneramente e che era diventato il suo compagno di giochi e sul quale riversava tutte le sue paure ma anche tutto il suo affetto, rasserenando così la mamma. Il bambino, anche ora che la mamma non c’è più , ritorna spesso in Hospice ed è incredibile come lui e il cane si ritrovino a rotolarsi in corridoio con reciproca gioia e felicità; è passato il periodo peggiore e il bambino ha affermato che Ciko è stato un vero amico, che lo ha aiutato ad affrontare la perdita della mamma.
Ripenso con affetto anche a Marco che, dopo una vita sbagliata, segnata da sofferenze e malattie, si ritrova a comporre con il nostro musicoterapeuta Claudio una canzone che celebra un grande avvenimento calcistico al quale aveva partecipato a Barcellona e che canta con grande affanno respiratorio ma che lo rende felice, tanto da terminare il suo impegno canoro con un “Grazie, vi voglio proprio bene”.
E che dire di Elena che, assistita dalla psicologa e dalla nostra arteterapeuta Cristina, si rende conto della gravità della sua situazione e disegna una grande mongolfiera tutta colorata che si stacca da terra, perché ora capisce con maggior serenità che il suo “viaggio” sta per iniziare? Tanti ricordi, tante vite che ci hanno sfiorato e che hanno dato senso e sostanza al nostro agire.
Vogliamo continuare ancora ad aiutare il maggior numero possibile di persone perché siamo convinti della validità di una delle più famose massime attribuite al Mahatma Gandhi: “We must be the change we wish to see in the world” ovvero “Dobbiamo essere noi stessi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”.
Pier Giorgio Molinari presidente Una Mano alla Vita Onlus e volontario domiciliare
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