Era l’anno 2010 e per un progetto universitario mi venne chiesto di visitare i differenti reparti degli Spedali Civili di Brescia, quando in un giorno d’estate venne il momento di entrare nella tanto nominata pediatria est. Nominata non solo perché al suo interno operano medici molto preparati, quanto per la natura della malattia combattuta. La malattia oncologica in tutte le sue forme e sfaccettature. Termine oncologia che solo a nominarlo fa tremare i polsi, visto da tutti come sinonimo di fine, sconfitta, morte e così era anche per me, fino a quell’anno quando per motivi universitari dovetti affrontare i miei timori, ansie, paure che ben presto si trasformarono in emozioni completamente opposte. Infatti una volta varcata la porta sentii subito una ventata di positività, coraggio, lotta e voglia di vivere. Sensazioni che mi pervasero durante i quindici giorni di mia permanenza come studente. Ogni giorno incontravo delle persone senza camici ma con indosso una maglietta con scritto “Abeautifulday” e al collo un tesserino con la scritta Volontario Associazione Bambino Emopatico. Queste persone ogni giorno incontravano i piccoli pazienti, giocavano insieme, leggevano storie o semplicemente parlavano o scherzavano con loro e i rispettivi genitori. A volte lì sentivo chiedere al bambino “sei pronto si parte” erano gli stessi che, grazie al servizio di trasporti offerto dall’associazione, finita la visita o gli esami di routine riportavano i pazienti non ricoverati a casa o nei differenti alloggi offerti da Abe alle famiglie che vivono distanti dall’Ospedale. Più scorrevano i giorni più mi rendevo conto che l’aiuto dell’associazione andava ben oltre il supporto concreto grazie ai numerosi servizi offerti. Ogni gesto in quel reparto assumeva un significato particolare. Il porgere un gioco da parte di un volontario ad un bambino, gli dava l’opportunità per venti minuti, durante la sua permanenza in ospedale, di mettere da parte almeno con il pensiero ciò che gli stava accadendo o per meglio dire, gli era caduto addosso improvvisamente, causando una frattura nella normale vita di tutti i giorni. Il suo giocare nel cortile di casa con i vicini, litigare con il proprio fratellino per il giocattolo preferito, fare i capricci con mamma e papà per un piatto di pasta sgradito. Quel giocattolo portato nella sua stanza, gli permetteva di recuperare per poco la sua dimensione di bambino che per colpa della malattia aveva dovuto mettere in disparte e crescere in fretta. Quello stesso volontario stando con lui permetteva al genitore di prendersi una pausa, bere un caffè, fare una doccia, piccole cose che per ognuno di noi risultano scontate, di routine ma che per loro risultavano fondamentali per ricaricarsi e ributtarsi più forti di prima nella mischia e fare da spalla a questi piccoli super eroi. Proprio così vengono chiamati dai medici quando iniziano la loro battaglia contro la cellula cattiva che ha sconvolto la loro vita, anche se non gli piace essere chiamati così, perché non sono altro che bambini come tutti gli altri che combattono per vivere. Battaglia nel quale sono appoggiati anche da un equipe di psicologi, anch’essi presenti grazie ad Abe, che gli permettono di affrontare al meglio il lungo percorso ospedaliero dando la possibilità al bambino e ai propri genitori di poter esprimere le proprie emozioni, paure ed ansie e trasformarle in altra benzina utile per ritornare alla vita. Ebbene, potrei sembrarvi ripetitivo per le molte volte che ho utilizzato la parola vita e i suoi sinonimi ma la tanto conosciuta Pediatria est è proprio questo, un reparto di vita e chi vi scrive non è più uno studente universitario ma un volontario Abe. Chi avrebbe mai immaginato che offrendo un caffè avreste supportato tutto questo? Vi posso offrire un caffè? Matteo
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